Giuseppe Marcolongo

Nato in Atessa (CH) nel 1896, sin da ragazzo mostrò duttilità d'ingegno, viva intelligenza e spassosa bonarietà. Da studente liceale nella vicina Lanciano, iniziò la sua opera di pubblicista, assumendo la direzione di un giornale e collaborando a vari periodici locali. Laureatosi brillantemente in giurisprudenza a Macerata, alternò l'attività professionale col giornalismo che costituì sempre la sua passione. Scrisse per le “terze pagine” di diversi quotidiani romani, nel Giornale del Mezzogiorno, nonché nei periodici regionali e fu corrispondente locale della RAI fino alla sua dipartita nel 1975.
Nel 1923 fu al Comitato direttivo della “Lucente Settimana Abruzzese” col grande commediografo Luigi Antonelli, col quale collaborò per la “messa in scena” della “Figlia di Jorio” in dialetto abruzzese. Nel 1924 scrisse un polemico articolo nel “Corriere Italiano” sulla “Questione granaria” meritandosi il plauso dell'On. Prof. Vincenzo Rivera che lo definì “acuto osservatore e competente illuminato”. Nel 1929, invitato e presentato da A.G. Bragaglia, tenne la commemorazione del grande scenografo abruzzese, Achille Ricciardi, nel Teatro Sperimentale degli Indipendenti a Roma. 
Scrisse un libro in memoria, in occasione del 1^ anniversario della morte dell'Eroe Raffaele Paolucci, suo grande amico d'infanzia. Nel 1954 fu nominato Socio Corrispondente della Deputazione di Storia Patria per gli Abruzzi e sostenne che fosse onorato il Prof V.De Bartholomeis (docente di letterature neolatine nella stessa cattedra di Carducci a Bologna) con la ristampa delle sue opere divenute rarissime. Nel 1960 commemorò lo scrittore Ettore Allodoli, definito una celebrità letteraria italiana. Nel 1961 gli fu conferito il “Premio dì cultura” da parte del Pres. del cons. dei Ministri. Partecipò alla Celebrazione del I Centenario dell'Unità d'Italia, con una bella pubblicazione a cura del Comune di Atessa. Si rese promotore in Atessa della riuscitissima Celebrazione Dannunziana, invitando come oratore ufficiale il Prof. N.Ciarletta dell'Università di Urbino. Nel 1964 il premio Nobel Salvatore Quasimodo gli ha dedicato una Nota sulla rivista “Tempo”. Nel 1965 pubblicò un pregevole saggio su Domenico Ciampoli, narratore, critico letterario, studioso e divulgatore delle letterature straniere. 

ATESSA E I SUOI FIGLI ILLUSTRI

DOMENICO CIAMPOLI (1852-1929)

NARRATORE, CRITICO LETTERARIO, FERVENTE STUDIOSO E DIVULGATORE DELLE LETTERATURE STRANIERE, EBBE UN RUOLO DI PRIMO PIANO NELL’ AMBITO DELLA CULTURA ABRUZZESE DI FINE OTTOCENTO E DEL PRIMO NOVECENTO.

Domenico Ciampoli in un saggio di Giuseppe Marcolongo.

Dopo aver compiuto il corso elementare in Atessa, dov’era nato nel 1852, e proseguito gli studi in Vasto e Lanciano, Domenico Ciampoli, circa cento anni fa, venne a frequentare il secondo e terzo liceo all’Aquila; ed è probabile che qui conoscesse Teofilo Patini, maggiore di lui di dodici anni, il quale già si era trionfalmente affermato, con un nudo e un bozzetto, nella gara per il pensionato artistico svoltasi in Firenze nel 1868.
Certo è che anche il Ciampoli, come il Patini, fu pervaso in tutte le sue opere da uno spirito di rivolta contro la miseria, la prepotenza e l’ingiustizia sociale.
« I primi quadri del pittore dei cenci dovettero scuotere la sua sensibilità tanto da risentirne nella vita e nell’arte»: così scrive, acutamente, nel pregevole saggio Domenico Ciampoli - Riflessi della vita e delle opere (Solfanelli, Chieti 1963-64), Giuseppe Marcolongo.
Atessano di puro sangue; avvocato e pubblicista insigne, che Ettore Ianni volle con sé al Corriere della Sera; “Premio di cultura” da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Socio corrispondente della Deputazione di storia patria per gli Abruzzi, l’amico Marcolongo ha il culto delle memorie patrie e dei Grandi che onorarono la sua città e l’Italia. Su di essi eccelle indubbiamente, Domenico Ciampoli. 

Laureatosi nella Università di Napoli, dove pubblicò i suoi versi giovanili in una rivista studentesca, il Ciampoli fu docente nei licei di Campobasso, Ancona, Foggia, Acireale, e poi nelle Università di Sassari e di Catania, suscitando dovunque ammirazione per la vastità della cultura.
Dopo 25 anni d’insegnamento, riuscito primo nel concorso per le biblioteche nazionali, accettò la direzione di quella di S. Marco a Venezia, e si dette allo studio delle antiche scritture, dando alla luce i codici paleoslavi, che, insieme con le traduzioni di opere di prosa e in poesia dalle lingue straniere, gli dettero rinomanza in tutta Europa.
Egli, infatti, che a Capri aveva conosciuto Gorkij, Lenin e Volinski, illustratore di Leonardo, tradusse pagine di Sienkiewicz, Dostoewskij, Salov, Tolstoi, Turgenev, Gogol, nonché canti bulgari, armeni, montenegrini, senza contare gli autori polacchi, ungheresi, inglesi, tedeschi, francesi e spagnoli.
A sua richiesta, fu poi trasferito a Roma, donde gli era più agevole tornare con la famiglia, d’estate, alla sua Atessa, tra le querce del Convento di Vallaspra; e in Roma rimase, anche dopo la perdita dell’amata compagna, fino alla morte avvenuta il 23 marzo 1929.
Non era un misantropo il Ciampoli; sapeva figurare anche nella vita mondana della belle époque. Partecipò, come il Cavallotti, a brillanti duelli per difendere l’onore di qualche dama o la reputazione di amici cari. Amava tuttavia la semplicità, che si riscontrava anche nella vita di casa, assai modesta, e negli stessi mobili assai comuni e di poco valore.
Quel che contava erano i grandi scaffali zeppi di libri preferiti, che si trovavano dappertutto, sui comodini, sulle sedie, sui divani, per cui il Ciampoli diceva essere essi gli unici suoi beni di fortuna; non gli mancavano edizioni rarissime, e di grande importanza.
Nelle pareti v’erano, in prevalenza molte fotografie di illustri personaggi del mondo della politica, dell’arte e della mondanità, spesso con interessanti autografi e dediche come quelle dello Zar, di Tolstoi, di Gorkij, di Lenin, di Cecov, della Rubinstein, in abito del S. Sebastiano dannunziano, del Byron, del Milton, del Dickens, nonché di molti italiani, come Croce, D’Annunzio, Pascoli, Scarfoglio, Tosti, Verga, Capuana, e dei due scultori Gemito e Barbella.
Vastissima l’opera letteraria del Ciampoli che il Marcolongo passa in rassegna con rapidi tocchi: dal racconto romanzato abruzzese del secolo XII Bianca del Sangro, edito dalla Tipografia Marsicana di Avezzano nel 1878, a La rupe della Zita, leggenda pubblicata in due puntate da La Palestra dei giovani di Napoli; da Racconti abruzzesi (Brigola, Milano 1880) a Trecce nere (Treves, Milano 1882), una raccolta di novelle che commosse molte anime, soprattutto per la pietosa storia di Mariuccia di Canzano che, costretta a sposare un ricco contadino e non riuscendo a dimenticare il primo amore che l’aveva resa madre, viene dal marito geloso strangolata con le proprie trecce; ad altre raccolte, come Cicuta (Sommaruga, Roma 1884), Fra le selve, in due volumi (Ciannotta, Catania 1890-91), ecc.
Dei cinque romanzi del Ciampoli ci limitiamo a riprodurre i titoli: Diana, Roccamarina, Il Pinturicchio, L’invisibile, Il Barone di S. Giorgio. Essi sono pressoché introvabili nelle stesse biblioteche d’Abruzzo: «di quell’Abruzzo - come dice Ettore Ianni nella prefazione al libro - che fu il vero protagonista della sua letteratura»; né si troverebbe, oggi, un editore disposto a ristamparli.
« Essi sono storie - aggiunge il grande giornalista - e soprattutto forme di presentar le storie in contrasto ormai col nostro tempo. Vi manca, d’altra parte, quella potenza d’arte che fa universale ed eterno ciò che nel semplice fatto è ristretto ad una età, ad un luogo».
Il Ciampoli stesso definì l’insieme dei suoi libri “la torre di Babele”, a significare quella folla di padroni e servi, violenti e pavidi, fatui signorotti e politicanti fasulli, ragazze procaci e bagasce bettoliere, fattucchiere, briganti, accoltellatori, e insieme anime elette pronte alla sofferenza e al sacrificio, che parlano mille lingue e dialetti diversi. Eppure quei personaggi sono spesso tratti dal vero, come afferma lo stesso Ciampoli nella prefazione al suo secondo romanzo: «Roccamarina è, come tante altre, una storia d’amore tolta dal vero, ma io sarei ben contento se fosse creduta creazione di fantasia, perché la simpatia per i personaggi non si tramuti in pietà per le persone viventi».
Quel che talvolta appesantisce la narrativa del Ciampoli sono le analisi, le digressioni, le descrizioni, anche quando queste rappresentino, con squisito senso d’arte, stati di coscienza, passioni, folklore.
Comunque, sarebbe da ponderare seriamente la proposta, lanciata dal compianto e indimenticabile autore di Memorie di un deputato, di raccogliere i capitoli più significativi, a sé stanti, dei romanzi e alcune delle novelle più vive e fresche del Ciampolì in un volume commemorativo, che tramandi alle future generazioni il meglio del grande scrittore abruzzese.
A ciò potrebbe contribuire, tanto per cominciare, la ristampa del bel volume di Giuseppe Marcolongo, opportunamente riveduto e ampliato.

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