Domenico Marcolongo

Domenico Marcolongo

Tutto per una mucca, una mucca pezzata bianca e nera gravida (mesi 7) bella e intelligente.

Mio fratello Alberto la acquistò dai nostri cugini di S.Giorgio in Bosco, paese che distava dalla nostra casa a Cadoneghe in via Bragni circa 20 Km.

Il compito di andare a prendere la mucca, toccò a me e mia nipote Daniela, detta Cici. Saremmo partiti nel pomeriggio in bicicletta, la sera avremmo fatto sosta dai nostri cugini, per poi partire l’indomani buon’ora.

Il viaggio, per me che pedalavo, andò bene, ma non fu tanto piacevole per la piccola Cici che sedeva sul palo della bici senza un cuscino che la proteggesse dalle ammaccature.

Arrivammo verso sera alla vecchia casa dei Marcolongo che si trovava alla fine di via Sant’Anna, una stradina a poche decina di metri dalla statale Valsugana.

"Ecco, siamo arrivati" sussurrai alla piccola Cici, la quale mi sorrise e si lamentò di un formicolio alle gambe (granfo).

Scendemmo dalla bici un po’ indolenziti ed entrammo: la prima cosa che vidi, e che mi suscitava sempre meraviglia, fu una bella fontana da cui sgorgava continuamente dell’acqua che scivolava in una vasca di pietra; ad un estremo la vasca aveva una spaccatura che permetteva all’acqua in eccesso di scaricarsi nel vicino fosso.

Alla fontana girammo a sinistra attraversando così il cortile di fronte al porticato, e raggiungemmo il cortile dell’abitazione.

La prima persona che ci venne incontro fu Attilia che si interessò subito di cosa avessimo bisogno dopo un viaggio così lungo: prese una forma di formaggio e ne tagliò una fetta ciascuno, assieme a del pane casereccio. Nel frattempo tornarono a casa dal lavoro dei campi e dal governo del bestiame, gli altri componenti della famiglia: Madeo, Erminio e Domenico detto Meni, più i secondi cugini Angelo, Andrea mio coetaneo e Giovanni.

Nel frattempo le donne di casa si affrettarono per preparare la cena. Di lì a poco andammo tutti a tavola, e mentre Danila era in disparte con i piccoli, io sedevo e conversavo con i più grandi, e rispondevo alle loro domande circa la mia famiglia e il lavoro dei campi. Si concluse in questo modo la giornata e tutti andammo a dormire; la mattina ci alzammo presto e facemmo una buona colazione con latte fresco, pane e formaggio; gentilmente la cugina Attilia ci preparò anche delle merende da portarci appresso durante il viaggio di ritorno a casa.

Intanto mio cugino Pietro, che si era alzato prima di noi per governare la mucca Bagari, mise all’animale che avrei dovuto portare a casa la cavezza. Dopo mille raccomandazioni, di cui avevamo bisogno considerata l’età (io avevo 13/14 anni, Cici 7/8 anni) mi consegnò la mucca.

Presi la bici, sulla quale erano caricate le borse con le merende, per il manubrio e la diedi a mia cugina Cici. Ci salutammo tutti; partii tenendo in una mano il bastone, nell’altra la mucca, mentre dietro di me Cici portava la bicicletta a mano.

Pian piano cominciammo a guadagnare Km; il primo paese nel quale passammo fu Sant’Anna Morosina così curioso nelle sue lunghe case coi portici. La marcia proseguiva bene, e di tanto in tanto qualcuno per strada ci domandava da dove venivamo e dove fossimo diretti.

Raggiungemmo presto la casa di zio Florindo, dove facemmo una piccola sosta; lo zio ci consigliò infatti di affrettarci a ripartire perchè la strada del ritorno era ancora molto lunga. Così dopo aver mangiato e bevuto, e salutato zia Tonina e i cugini, ci incamminammo nuovamente.

Il paese successivo fu Villa del Conte al quale ero molto legato, sia perchè ci abitava Ernesto mio coetaneo che andavo spesso a trovare, sia perchè ci andavo a dottrina.

Proseguimmo per S.Giustina in Colle; cominciavamo ad essere stanchi e quella lunga interminabile strada non finiva mai.

Cici di tanto in tanto mi chiedeva quanto mancasse ancora per giungere a casa.

Passati per il mulino del Tegola e la segheria, ci avviammo verso S.Giorgio delle Pertiche; la strada era noiosa e lunga, e il campanile del paese si vedeva lontano. Danila era sempre più stanca, così pensai di caricarla sulla bici: così ora tenevo con la mano sinistra bicicletta e bambina e con la destra la povera Bagari, anche lei stanca nonostante fosse abituata a camminare a lungo.

L’animale era per di più affamato, e mentre camminavamo lungo il ciglio ne approfittava per brucare l’erba. Dopo un po’ Cici scese dalla bici e tornò a condurla a mano.

Con pazienza arrivammo davanti la torre, e qui facemmo un’altra piccola sosta con spuntino. Ripartimmo per l’ennesima volta, percorremmo la statale del Santo camminando lungo la fila dei paracarri che cominciammo anche a contare, ma dopo un po’ ci stancammo; avevamo altro a cui pensare! Il campanile di Campodarsego era ancora lontano!

Ogni tanto facevo riposare la bambina sul palo della bici, era molto stanca e si lamentava di avere male di piedi; anche la mucca accusava stanchezza e di tanto in tanto si fermava e dovevamo tirarla per la cavezza.

Finalmente arrivammo a Campodarsego; coraggio, eravamo quasi a casa!

Ma non andammo dritti! Prendemmo invece la cosiddetta "strada dei fii" (così chiamata per il nuovo e moderno impianto di fili di alta tensione) che si congiungeva con via Bragni dopo il crocevia dei Menini.

Era sera quando giungemmo a casa, tutti e tre stanchi: la mucca non voleva più saperne di camminare, la povera bambina aveva le gambe gonfie, ed io stanco e depresso mi sono messo a piangere.

Cadoneghe, 1996
 
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