Natale Marcolongo

Natale Marcolongo

Sono un Marcolongo di nome Natale, nato il 7 ottobre del lontano 1938 nel comune di San Giorgio in Bosco in provincia di Padova.

Il mio povero papà si chiamava Domenico, nato nel 1900 in uno dei 7 Comuni di Asiago, precisamente a Foza, paese nel quale ebbe origine la nostra famiglia.

Tutti i Marcolongo si distinguevano con soprannomi, cioè in Mascari, Mascareti e Mascaroni, i Poento e i Togneti.

I Mascaroni eravamo noi, cioè il ceppo di mio nonno, pure lui di nome Natale, il quale, con i suoi fratelli, avendo acquistato un appezzamento di terreno a San Giorgio in Bosco vi si stabilì, senza però abbandonare la proprietà di terreno e la casa di Foza, sita nella Vallata di Valcapra. Per questo motivo durante l’anno, dall’inizio della primavera fino all’autunno si doveva fare la spola fra S. Giorgio e Foza, specialmente nella stagione del fieno e all’inizio dell’autunno, poichè si trasferiva il bestiame per il pascolo sia in malga che in vallata.

Questo andirivieni è cominciato all’inizio del ‘900. La strada con il bestiame si doveva fare sempre a piedi ,circa 50 Km. di andata e poi di ritorno. Da S. Giorgio in Bosco, Cittadella, Rosà, poi attraverso il Ponte Vecchio di Bassano del Grappa, detto anche il "Ponte degli Alpini" si andava dall’altra parte del Brenta, quindi costeggiando il Brenta si raggiungeva Valstagna, punto di riferimento per un stallo durante la notte, per poi proseguire di buon mattino, su per i tornanti di una strada chiamata "le Pale".

A capo della mandria (circa 50 capi di bestiame) c’era una bella mucca chiamata "Moretta" perchè era tutta nera, con il campanone al collo a richiamo di tutto il seguito.

Giunti in prossimità della valle, molti cugini e conoscenti miei coetanei, sentendo il campanone ci venivano incontro, perchè gli davamo del pane bianco, e così si faceva gran festa.

Personalmente questi spostamenti fra la campagna e la montagna ho cominciato a farli molto presto, avevo 7 anni, cioè nel 1945, sempre con il mio papà, il quale amava molto la montagna. Quando mi vedeva stanco di camminare su per quei tornanti mi prendeva in braccio e mi caricava sul carretto del cavallo con il quale si trasportavano viveri per 40 giorni.

Finito il pascolo si tornava in campagna, e il periodo di ritorno combaciava sempre con l’inizio della scuola. Così ero sempre circondato da amici e coetanei, perchè raccontassi loro le avventure della montagna. Tutto questo durò fino al 1956, dopodichè tutti i compoenti della famiglia decisero di vendere la proprietà in montagna, poichè il lavoro che richiedeva non dava più interesse. Voglio ora raccontare un piccolo fatto personale:

Avevo 16 anni, quando un giorno fu deciso di andare a prelevare tutto il fieno dal cascinale in montagna, per portarlo giù. Partimmo con un camion io, uno dei miei fratelli, e l’autista del camion.

Nel primo pomeriggio avevamo già finito di caricare, allorchè dissi a mio fratello che li avrei preceduti in quanto volevo andare a salutare una ragazza con l’accordo che, quando avrei visto il camion scendere, mi sarei avvicinato alla strada per poi salire e fare ritorno. Ma a questo punto, dopo l’incontro con Laura, del camion mi ero completamente dimenticato. Intanto con Laura il tempo passava allegro e spensierato. Ben presto però mi accorsi dell’imbrunire che si stava avvicinando, e capii subito che quelli mi avevano lasciato a piedi. Che fare?

L’unico modo per tornare era quello di incamminarsi di buona lena. Laura mi accompagnò fino in fondo alla vallata, dove attraverso un paio di scorciatoie avrei raggiunto la strada principale che mi avrebbe portato a Valstagna. La baciai e salutandola partii.

Ma a lei non avevo detto che là in montagna avevo paura del buio, perchè la gente del posto mi raccontava sempre che di notte apparivano le "lumiere", che sarebbero state le anime dei morti caduti in guerra. Più ci pensavo e più correvo, tanto ero in discesa. Finalmente arrivai al Pian Grande (un piccolo ristoro), che si trovava proprio a metà strada, tra Valstagna e Foza.

Lì bevetti un’aranciata e via giù per la "Vaesea" che era la scorciatoia che eliminava metà dei lunghi tornanti delle Pale. La "Vaesea" era una stradina fatta di gradini con sassi di montagna e veniva chiamata così perchè si poteva passare solo con la valigia sulle spalle o con lo zaino.

Il buio si faceva sempre più fitto, ad ogni modo, senza dar retta alla paura e sempre di corsa, finalmente arrivai a Valstagna, e, grondante di sudore, mi sedetti e riposai un po’. Dopo di che, piano piano, mi avviai verso la stazione della ferrovia.

Per fortuna avevo con me un po’ di spiccioli e dopo aver fatto il biglietto, con mio grande sollievo c’era subito un treno per Bassano e Cittadella. Scesi a Cittadella, ma per arrivare a casa dovevo percorrere ancora 6 Km. a piedi. Fortunatamente, arrivato al passaggio a livello, trovai un amico che mi dette un passaggio con la moto fino al Ponte Sauro.

Oramai ero a casa, ancora 300 metri a piedi e sarebbe finita.

Come mi videro mi presi una gran lavata di capo, ma poco importava, tanto avevano già scaricato tutto il fieno

S. Giorgio in Bosco, 1997
 
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